1) Da Roaming a Walkabout

 

Se il focus di Roaming [1] è stato il rapporto tra l’opera d’arte e le modalità della sua circolazione sotto forma di immagine, il punto di arrivo è rappresentato da tre domande:

 

a) Si può pensare che la vertigine di un’oscillazione continua tra opera e sua riproduzione costituisca l’elemento caratterizzante di una nozione “ricca” di immagine in cui il dato fotografico e quello materiale coesistano come elementi di un dispositivo “superiore”, con il quale forse si identifica una nuova nozione di opera d’arte?

 

b) Come si pone allora la questione della formatività nel momento in cui questa attività si misura con una trasformazione della materia che non è più “unica e insostituibile”? (Pareyson) [2]

 

c) Per diventare corpo dell’opera l’immagine fotografica deve rinunciare alla valenza documentaria per assumere quella di testimonianza?

 

 

2) Walkabout. Testimoniare

 

È proprio dalla nozione di testimonianza che prende avvio il progetto Walkabout. Poiché il focus di Roaming è la vita dell’opera fatta immagine nel suo inevitabile rotolare attraverso i media e i formati, tale “rotolamento” è un processo di continua codifica e transcodifica o meglio di traduzione.

Se si vuole che il “frammento” si riempia di senso e si emancipi da un galleggiamento acritico sulla pelle dei linguaggi occorre che il viaggio dell’opera come condizione del suo farsi si dia esplicitamente come processo di traduzione.

 

La traduzione, implicando il passaggio da un linguaggio all’altro, si misura per definizione, sempre, con l’intraducibile. Ovvero si esercita come passaggio di una frontiera intendendo un luogo dove si “fanno fronte” due diversità. La frontiera, a differenza del confine, presuppone una dimensione fluttuante in cui l’identità si nutre dell’alterità. Il malinteso, che è quel balbettio del linguaggio in cui prende forma l’alterità, è il cuore della frontiera e costituisce un intraducibile, un fallimento della traduzione, che è “(…) un capire con in più il tempo (…) il tempo dell’attraversamento della frontiera dell’alterità”(La Cecla)[3].

 

Per questo ogni traduzione è un interpretazione, ( secondo quella linea che da Benjamin va a Gadamer, ecc.)[4] nel momento in cui fallisce come transcodifica.

La traduzione che ha consapevolezza del proprio fallimento diventa testimonianza, laddove sa di misurarsi deliberatamente con l’indicibile.

“Anche se il mondo precipita nel nulla, vi è un testimone che parla di questo scivolamento, o di questa rovina nel buio” (Rella)[5]

 

 

3) Walkabout. Randonnèe

 

La transcodifica e l’universo dei frammenti di diversi linguaggi, coesistenti in stato di crash e in rapida, incessante sostituzione, rendono la traduzione un passaggio di frontiere in forma di randonnèe.(Serres)[6]

Erranza che insegue il rapido mutare di un paesaggio che ha nel suo essere percorso la speranza di un riscatto sul piano del senso.

 

Dal punto di vista dell’opera, che si trova nel vivo di questo errare, il randonnèe coincide con la“composizione per tragitto” di cui parla Bourriaud: “(…) la forma –tragitto mette in crisi la linearità iniettando il tempo nello spazio e lo spazio nel tempo”.[7]

 

Un camminare che assurge a “modo di formare” è sempre ricerca di senso. Attraversamento del Bush, per ritrovare, con la capacità rabdomante del canto, i propri antenati e il proprio essere. “Un canto fa venir fuori il paese, capo”. (Chatwin)[8]

 

 

4) Walkabout. Questioni implicate

 

Il ruolo intellettuale. Mappa e antenna, il canto nel Walkabout, esprime una volontà di orientamento. È una risposta, entro la catastrofe dei linguaggi, che guarda al frammento “tirando dei fili”, i fili del significato.

In questa accezione è attività critica a tutti gli effetti. Nel canto del testimone si esercita il ruolo dell”intellettuale impossibile”; ovvero il riscatto della funzione intellettuale dalla dimensione mediatica dell’”esperto” per abbracciare quella della “disobbedienza”[9]. L’unica dimensione questa in cui il lavoro intellettuale, assumendo spessore critico, può assolvere ad un ruolo utopico e progettante.

 

L’autorialità. La ridefinizione dell’autorialità è conseguente. Se essa si è disegnata, attraverso la spettacolarizzazione mediatica, intorno al protagonismo del “ personaggio” (in arte il curatore più che l’artista) l’esercizio della funzione critica pone al centro i temi della negoziazione e del dialogo, che sono poi quelli della frontiera. Lungo la frontiera l’autorialità è la funzione della relazione di incontro-scontro che contraddistingue il rapporto identità-alterità. L’autorialità ridefinita nella negoziazione e nel dialogo è il corpo del fallimento che si esprime nella testimonianza.

 

I linguaggi. Quale erranza di frontiera, attraverso i territori disegnati dalla frizione dei linguaggi, il pensiero critico non può più accontentarsi della parola come forma privilegiata. Esso aspira ad una pratica di libero movimento tra i linguaggi verbali e non verbali, nella convinzione che essi interagiscono tra loro e tra loro e la realtà in quanto riflesso e fattore di modifica possibile. In questo senso una pratica artistica può diventare esercizio di pensiero critico, nel quale la parola è ancora presente ma con un nuovo assetto

 

Ermanno Cristini

 

 

 

 

Note

 

[1] Roaming, 2008-2014

Roaming, un progetto di Ermanno Cristini curato da Alessandro Castiglioni si è focalizzato su alcuni aspetti relativi al ruolo del curatore, alla trasformazione dello statuto dell'opera e della nozione di "messa in mostra" nel contemporaneo. Roaming è una serie di "mostre" che durano solo il tempo dell'inaugurazione e poi si stabilizzano sul web, attraverso le immagini dei fotografi. Gli artisti cambiano di volta in volta secondo un meccanismo che mette "in scacco" la figura del curatore.

In sintesi Roaming si interroga sul rapporto tra produzione di un’opera, la conseguente circolazione e la questione della diffusione della propria immagine. Avviato nel 2008 e concluso nel 2014 Roaming ha coinvolto oltre 100 artisti di diverse nazionalità, ha realizzato 22 mostre in altrettante città europee di cui oltre la metà museografiche. La mostra conclusiva è stata realizzata a Maggia (CH) nella Fabbrica Rosa, l’ex Archivio di Harald Szeemann.

Alessandro Castiglioni e Ermanno Cristini (a cura di), ROAMING. Sull’intermittenza dell’opera d’arte, Postmedia Book, 2013

 

[2] Luigi Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Torino, 1954

 

[3] Franco La Cecla, Il Malinteso. Antropologia dell’incontro. Bari, 2009

 

[4] “Ogni traduzione è solo un modo pur sempre provvisorio di fare i conti con l’estraneità delle lingue”. Walter Benjamin, Angelus Novus, 1955, Torino, 2006

“Ogni traduzione è un’interpretazione, anzi si può dire che essa è il compimento dell’interpretazione che il traduttore ha dato della parola che si è trovato di fronte”, Han Georg Gadamer, Verità e metodo, 1960, Milano, 2000

cfr. inoltre Clifford Geerz, Antropologia interpretativa, Bologna, 1988

 

[5] Franco Rella, Dall’esilio. La creazione artistica come testimonianza, Milano, 2004

 

[6] cfr.: Michel Serres, “Metodo e randonnée”, da Les cinq sens, Paris, 1985, e Mario Porro, Sentieri lenti, Doppiozero, 23/08/16

 

[7] Nicolas Bourriaud, Il radicante, 2009, Milano, 2014

 

[8] Bruce Chatwin, Le vie dei canti, 1987, Milano, 1988

 

[9 cfr. Nicolas Martino, Sulla felicità come opera in lotta nel lavoro della conoscenza, Doppiozero, Gennaio 2016

 cfr. Enzo traverso, Che fine hanno fatto gli intellettuali, Ombre Corte, 2014


Walkabout wants to follow the transformations of the status of the work of art, by observing it as a leak of testimonies. Nowadays the fate of the work of art is characterized by an inevitable "rolling" across media and formats, generating a continuous process of coding and transcoding, or of translation.

Given the shift from one language to another, the translation always faces the untranslatable. In other words, it exerts itself in the form of a "frontier" passage, a place where two differences face each other. This is why every translation is an interpretation, given its failure as a simple act of transcoding and the "misunderstanding" that necessarily generates from the confrontation between differences.

The translation that is aware of its own failure becomes a testimony, as it is conscious of deliberately measuring itself against the unsayable.

Map and antenna, the "song" in the Australian aborigines’ Walkabout, expresses a desire for orientation. Nowadays, within the languages catastrophe, it is a response that looks at the fragment by "pulling threads", the threads of meaning.